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Svuotò se stesso… umiliò se stesso (Fil 2,7.8)
Di tutto è stato privato (svuotò se stesso). Gesù è abbandonato: gli amici, i discepoli, la gente entusiasta di lui, i soldati incantati dai suoi discorsi, dove sono? Gesù è stato condannato: la sua opera, le sue parole, le speranze che ha suscitato, il Regno che ha annunciato, dove sono? Gesù è stato umiliato: la sua potenza che domina il vento e il mare e fa tacere la tempesta, la sua gloria che sfolgora sul monte della trasfigurazione, la sua parola che si impone sui demoni, dove sono? Gesù è stato privato della bellezza, lui il più bello dei figli degli uomini; è stato privato della dignità, deriso e schernito; Gesù è stato privato delle sue vesti esposto all’insulto; Gesù è stato privato della libertà, trattato come un malfattore. Di tutto è stato privato: svuotò se stesso! (Fil 2,7).
2. ma tutto È compiuto. L’ultima parola di Gesù, il “forte grido”, secondo il racconto di Matteo, non è però per riconoscere il fallimento, ma per annunciare il compimento: è compiuto! Ci dirà il vangelo di Giovanni. Gesù vede nella sua morte il compimento della sua missione, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1). Questa sì è una parola sconcertante! Tutta la storia e tutta la sapienza del mondo non basta per comprendere questo mistero: forse si può capire qualche cosa se si sperimenta l’incontro con lui sulla via della croce, forse si può capire qualche cosa se si decide di seguirlo, forse si può capire qualche cosa se si vive come lui è vissuto, se si prega il Padre come lui ha pregato, se si muore come lui è morto.
Alcuni personaggi che oggi abbiamo incontrato nel racconto della Passione possono narrare qualche cosa dell’esperienza del compimento.
Le donne, anzitutto. Maria Maddalena, Maria Madre di Giacomo e di Giuseppe, la madre dei figli di Zebedeo. Ed erano là “sedute di fronte alla tomba”. Erano lì. Non c’era niente da fare, ma erano lì. La presenza che si fa tenerezza, benevolenza, attenzione, compagnia, anche silenziosa, discreta. Quelle donne ricevono la vocazione della tenerezza, della carezza, dello sguardo pieno di speranza che è chiamato ad andare oltre quello che sembra irrimediabile. Esse hanno compreso cosa è l’amore. Per questo hanno insistito davanti al sepolcro, perché hanno creduto che il seme caduto sarebbe sbocciato. Li non c’era nessuna attività da fare, nessuna missione da organizzare, nessuna riunione, ma, era solo un esserci pieno di affetto. Quanto è importante oggi questo atteggiamento in ogni ambiente!
Simone di Cirene che incontra in Gesù il compimento del suo operare. Il lavoratore costretto a quest’altro lavoro di portare la croce di Gesù riceve la rivelazione che il lavoro si compie non nella produzione di un oggetto, di un profitto, ma nell’esercizio di rendere più leggero il peso della croce altrui. La capacità di agire diventa possibilità di aiutare.
A volte siamo costretti a fare di più, ma lo facciamo come una occasione a donarci. Ogni mestiere, ogni compito non previsto, anche nella comunità, è una vocazione a portare i pesi gli uni degli altri. A volte anche in parrocchia – come Simone – siamo chiamati a fare di più. Ma la Chiesa non è il Corpo di Cristo? Non è quella sua croce da portare?
Giuseppe di Arimatea, “uomo ricco”. L’uomo che era diventato discepolo di Gesù esce ora allo scoperto. Si prende cura del corpo di Gesù e “lo depose nel suo sepolcro nuovo”. Si prende cura di quel corpo che sarebbe diventato il corpo del Risorto, sarebbe diventato la Chiesa. E lo fa condividendo i suoi beni, mettendoli al servizio di una missione più grande delle sue ricchezze. Riceve la vocazione di prendersi cura.
Le donne, Simone di Cirene, Giuseppe di Arimatea, ci possono insegnare qualcosa della svuotamento di Gesù. Gesù, allora, non ha perso la sua bellezza, la sua potenza d’amore, la sua dignità di Figlio. Le speranze suscitate emergono. Il compimento di cui parla il vangelo non una sconfitta, ma una rinascita di uomini e donne che fanno della loro vita un dono di amore. E vedendo questa gente, che – come ci ha detto Isaia – ogni giorno si mette in ascolto del bisogno e non si tira indietro; gente che manifesta la bellezza di Gesù, la sua potenza d’amore, la sua dignità di Figlio, anche noi, anche l’uomo e la donna di oggi, possiamo, potranno dire: “Davvero costui era Figlio di Dio”.
La vocazione alla tenerezza e alla presenza che accompagna
La vocazione a portare i pesi gli uni degli altri
La vocazione a prendersi cura del Corpo della Chiesa, pagando anche di persona.
Andare. Andare e tornare.
Le strade sono fatte per andare. Andare in fretta, procedere nervosi in colonna, non riuscire ad andare per troppo traffico o troppe strade chiuse. Andare al lavoro, a scuola, all’ospedale. Andare e poi tornare. Tutta una vita vissuta nell’andare e nel tornare. Andare e poi tornare, tutta una vita di andare e tornare. Andare soli, andare in compagnia, andare per portare a scuola i ragazzi, andare per accompagnare la nonna a una visita. Andare poi tornare. Tutta una vita di andare e tornare.
Le Sette Parole di Gesù sulla croce manifestano solo un andare. Andare fino al compimento della sua missione. Gesù, prima di aver pronunciato quelle parole come un testamento, è passato tra la gente dell’andare e tornare: le donne di Gerusalemme, i soldati della coorte, la gente che si raduna per assistere allo spettacolo. Gente che è venuta e poi è tornata a casa. Gesù passa, va verso il Golgota e non ritorna. Gesù passa tra la gente dell’andare e tornare e chiama a seguirlo. Vieni, venite e non tornate indietro. Vieni, seguimi. Chi mi vuol seguire prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. L’andare di Gesù è senza ritorno e chiama a seguirlo, a vivere la vita come un andare verso il compimento.
L’andare e tornare è vivere nell’incompiuto, vivere abitando il tempo come un ritmo che si ripete, il giorno e la notte, la notte e il giorno, l’andare e il tornare. Gesù chiama a seguirlo, a vivere la libertà di uscire dal ripetersi come una schiavitù, un ingranaggio che rinchiude nell’inerzia. “Venite dietro”. Non il ritmo dell’andare e tornare, ma la libertà di seguire Gesù, di decidere di stare con lui, sempre e non tornare indietro.
Scusa, Gesù, va bene un po’ di compassione, ma adesso torno ai miei affari.
Scusa, Gesù, va bene un po’ di devozione, ma adesso devo tornare alla solita vita.
Scusa, Gesù, ma non ti sembra di avere pretese esagerate, se mi chiami a seguirti sulla via della croce?
Maledetta la cattiva sorte, dice il ladrone: potessi tornare indietro! Gesù però continua a ripetere: vieni, seguimi. Sulla via della croce incontra sua Madre: e Maria segue Gesù fino al compimento, fino alla morte in croce. Sulla via della croce incontra il discepolo amato e il discepolo lo segue fino a “tutto è compiuto”. Sulla via della croce sono trascinati anche gli altri condannati, costretti alla tremenda pena della croce. Ma uno di loro riconosce che questo andare senza ritorno non è per finire nel nulla, ma può aprire la porta per entrare nel regno, il compimento della missione di Gesù, il compimento glorioso anche della vita ingloriosa del malfattore pentito. Queste sette Parole passano sulle strade del nostro cuore e dei nostri pensieri o desideri, le strade dell’andare e tornare e pongono la domanda: ma dove state andando? Gesù non chiama all’impossibile estraneazione dal quotidiano, dall’andare e tornare. Ma chiama a seguirlo, cioè a vivere con lui, a vivere la sua stessa vita perché il quotidiano possa essere l’ingresso nel Regno.
Gesù si ricorda di me, di te, di ciascuno nel suo regno e dice a ciascuno: “oggi con me, sei in paradiso”. Oggi, nell’andare e tornare, sei con me in paradiso. Oggi, nel giorno della gioia, della festa, delle mete raggiunge, sei con me in paradiso. Oggi, nel giorno dello strazio, del soffrire, quando sei in croce, sei con me in paradiso. Oggi, nei giorni grigi noiosi, delle ore sempre uguali che non passano mai, della solitudine deprimente, sei con me nel paradiso. Il paradiso comincia là dove si decide di stare con Gesù, il paradiso comincia là dove si comincia a pregare: ricordati di me nel tuo regno. E Gesù si ricorda di me e la vita entra in paradiso.
Rimane solo la delusione?
La comunità a cui scrive Paolo, quella di Corinto, è un disastro. Ci sono divisioni! Non sembra per niente una comunità, una fraternità; non sembra affatto la famiglia del Signore! E’ una comunità ricca di doni, di carismi ma, è divisa, sembra che il dono della fede sia inconsistente in confronto con le loro chiacchiere e discussioni inutili.
La comunità che si raduna per la cena del Signore è un disastro e una contraddizione. L’aria che tira è la delusione. L’entusiasmo è diventato una confusione, la libertà è diventata capriccio, le differenze sono diventate divisioni. L’aria che tira è sbagliata, perché domina la delusione. Pensavano di essere un esempio, invece non sono migliori degli altri, addirittura sono uno scandalo per quelli di fuori. La comunità di Corinto è un disastro. Rimane solo il rimprovero dell’apostolo? Abitiamo un po’ tutti nella comunità di Corinto. Ma dobbiamo diventare la casa di Betania! La casa degli affetti, dell’amicizia, non la casa delle attività, degli incontri, delle riunioni, queste ci sono già. Abbiamo tutti, a volte, molte critiche verso la nostra comunità. Il malcontento, il malumore si ritrovano spesso come il clima dominante. Abbiamo tutti da dire di tutti: dei sacerdoti, dei presenti, degli assenti, della pratica della carità, del modo di celebrare, di cantare, di leggere, di fare catechesi, di evangelizzare. Una specie di indiscutibile delusione, a volte, vorrebbe coprire tutto di un grigiore scoraggiante. La comunità è proprio un disastro a volte? Siamo delusi? Ci rimane solo il rimprovero? Non pensavamo di essere così sbagliati, presuntuosi, scettici, comunità scoraggiante. Ci rimangono solo il risentimento, la delusione e il lamento?
No: rimane l’alleanza nel sangue di Gesù. Quello che rimane è l’alleanza, l’alleanza nuova, l’alleanza eterna: “fate questo in memoria di me”. “Ogni volta che mangiate questo pane, voi, annunciate la sua morte, finché Egli venga”.
Lo scandalo che sconcerta tutti i discepoli è la decisione irrevocabile, amorevole, ostinata di Gesù di fare alleanza con questi discepoli sbagliati, con questi profeti ribelli, con questa comunità, a prezzo del suo sangue. Gesù constata che le sue parole non hanno ancora convinto e convertito i discepoli alla via che Dio ha scelto per salvare il mondo; Gesù constata che i segni compiuti non hanno ancora attratto le folle a riconoscere il regno promesso presente in mezzo al suo popolo; Gesù constata che le discussioni con i rappresentanti del potere e della religione non hanno ancora aperto una via nuova per esercitare il vero potere e praticare il vero culto gradito a Dio.
Invece di abbandonare la missione, Gesù, celebra l’ Alleanza nel suo sangue. Dichiara che non abbandonerà mai nessuno, che accetta il tradimento, la fuga, l’ottusa incomprensione e stringe alleanza con questa gente sbagliata.
Ancora, ancora, sempre! Senza quella Cena noi non saremmo qui, questa sera. Non ci raduneremmo, saremmo figli di Dio ma dispersi, ognuno a vagare per conto suo, per la sua strada e per la sua fede.
Ci raduna una memoria: Conserva in noi, Signore, la memoria. “Fate questo in memoria di me”. Salvaci dalle nostre smemoratezze, salvaci dall’abitudine e dalla occasionalità.
Proprio quando: “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda di tradirlo” , Gesù lava i piedi dei suoi fratelli e chiede di fare altrettanto. La Cena eucaristica che ci raduna e il servizio: mai l’una senza l’altra!
Ecco dunque quello che ci rimane: non il lamento, non la delusione, non il risentimento ma l’eucaristia, l’Alleanza, la convocazione
Ci rimane, ogni giorno, ogni domenica, sempre l’eucaristia, il pane da condividere, il sangue versato per fare di noi il popolo dell’alleanza, per celebrare la morte del Signore fino alla sua venuta. Continuiamo a celebrare l’eucaristia, continuiamo a radunarci, sbagliati come siamo, perché ci trasformi, ci conformi a Gesù e noi, così sbagliati come siamo, possiamo, per grazia, diventare memoria di lui, ci faccia diventare sempre più la sua fraternità, lieta e unita.
“Sarà per voi un memoriale – ci ha ricordato il Libro dell’Esodo – lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne”.
Alleanza
Eucaristia
Convocazione per essere e, per fare, memoria di Lui.
Un principio per rinnovare il mondo
“Gridò a gran voce”: le parole che sono costate la vita a Gesù, le parole che la gente del tempo di Gesù non poteva sopportare, le parole che hanno offeso e provocato i capi dei sacerdoti e i potenti che hanno tramato la condanna di Gesù. Parole che forse anche oggi risultano intollerabili, parole di fronte alle quali la gente del nostro tempo reagisce con fastidio, con sufficienza, con sospetto, con irritazione. chi le ascolta reagisce in tanti modi diversi. Alcuni mettono a tacere il messaggero, con le buone o con le cattive. Molti si difendono con l’indifferenza, cercano di non ascoltarle. Molti cercano in molti modi di convincere i messaggeri a stare zitti. Infatti l’evangelista Matteo scrive solo: “gridò a gran voce ed emise lo spirito” (Mt 27,50). E Giovanni che – lo abbiamo appena sentito – che “donò lo Spirito”. Ma che cosa ha gridato Gesù nel momento estremo? Cosa è questo Spirito? Gesù ha gridato: Vi amo! vi amo ancora! vi amo sempre! Ecco lo Spirito donato. Mi avete tradito e rinnegato: vi amo! Mi avete ingiustamente condannato: vi amo! Mi avete umiliato: vi amo! Mi avete torturato: vi amo! Mi avete crocifisso e anche di fronte allo strazio avete trovato parole di scherno e di insulti: vi amo! Vi amo! Vi amo ancora! Vi amerò sempre! Pensiamo all’oggi dei sacramenti!
vi amo! L’ultimo grido è così potente da scuotere la terra e svegliare i morti, chiamati dagli abissi degli inferi da questa dichiarazione di amore così esagerata, così improbabile, scritta con tanto sangue e tanto soffrire: vi amo! Perciò vi perdono, lavo i vostri peccati con il mio sangue. Vi amo! Perciò vi faccio dono del mio segreto più bello e più necessario: vi rivelo l’amore del Padre! Perciò piuttosto che fare violenza subisco violenza, piuttosto che abbagliarvi con la mia luce entro ad abitare nelle vostre tenebre. Vi amo! Perciò mi faccio tramite della volontà del Padre che offre la nuova alleanza ai figli ribelli. Molti trovano intollerabile l’ultimo grido di Gesù, la rivelazione estrema dell’amore di Figlio di Dio. Ci sono quelli che passano sotto la croce di Gesù e di fronte al suo grido estremo passano oltre, scuotendo il capo: questo Nazareno non ci serve a niente; non abbiamo bisogno di amore, ma di pane, di cose, di soldi; cerchiamo chi faccia prosperare gli affari, chi ci dia sicurezza, prosperità, divertimento. Questa parola “amore” gridata dall’alto della croce è intollerabile per la sua inutilità in un tempo in cui non si crede più all’amore.
Molti trovano intollerabile la dichiarazione di amore di Gesù perché non possono sopportare che Gesù ami tutti: sarei contento se amasse me, ma come può amare anche il mio nemico? Come si può sopportare l’idea che Gesù ami non solo i Giudei, ma anche i Romani, non solo gli oppressi, ma anche gli oppressori, non solo i santi, ma anche i peccatori?
Per alcuni la dichiarazione d’amore gridata sulla croce è intollerabile, è un inganno: è impossibile che tu ci ami, noi non siamo amabili, noi non siamo capaci di amare nessuno, neppure noi stessi, la nostra storia è una vicenda gelida e cattiva.
Sarebbe meglio che pensi a salvare te stesso, invece che pensare a questa umanità indegna e ingrata. Il grido d’amore che annuncia il perdono poi è intollerabile e offensivo per alcuni: “Perché invochi il perdono per noi? Noi non abbiamo niente di cui essere perdonati! Noi abbiamo fatto la cosa giusta! È meglio che muoia uno solo piuttosto che vada in rovina tutta la nazione!”.
Noi sentiamo risuonare il grido che scuote la terra e squarcia il velo del tempio e ci sentiamo trafiggere il cuore: le parole che suonano intollerabili per molti sono in verità le più necessarie, le più attese. Innalzato da terra Gesù ci attrae con il suo amore. Sotto la croce, come Maria e il discepolo amato, noi riceviamo l’ultima confidenza e comprendiamo il compimento della storia. Seguendo Gesù e tenendo fisso lo sguardo su di lui noi comprendiamo che la storia non è una vicenda insensata che non va da nessuna parte, non è un destino segnato che impone una sorte incomprensibile e inevitabile, è invece una vicenda di libertà. L’amore che giunge al compimento nel dono della vita rivela che non c’è luogo e non c’è dolore in cui non si possa amare, che non c’è situazione che non possa diventare occasione per amare. È stato seminato un principio per rinnovare il mondo, un appello e un’attrattiva a percorrere la stessa strada, ad amare come Gesù ha amato. La parola intollerabile, il grido indecifrato è la voce che ci rivela il senso della nostra vita: siamo vivi perché siamo amati e viviamo per rispondere alla vocazione ad amare.
Da qui bisogna partire per un cammino di fede: non da un Dio che c’è e basta, non da un Dio che ha creato il mondo e basta, non dal fatto che si può imporre alla nostra intelligenza per la ragionevolezza della Sua Parola, non dai miracoli ma, da questo amore. Dal segno dei chiodi.
Dio vi ama, ti ama. E’ il messaggio – l’unico – che la comunità è incaricata di portare e lo farà solo se è grata, lieta, unita.
Mi indicherai la via della vita
Ci sono Sentieri interrotti. Uomini e donne sono sempre in cammino. Vanno, vanno, ma dove vanno? Vanno i genitori verso i figli, desiderano incontrarli, accompagnarli, ma dove si trovano i figli? Abitano in un paese inaccessibile, parlano con un linguaggio incomprensibile, vivono in mondi impensati. I genitori che cercano i loro figli, gli educatori, gli insegnanti che cercano i giovani loro affidati percorrono itinerari di ogni genere, ma restano spesso smarriti. Da che parte dobbiamo andare? Talora anche i figli vanno e vanno, cercano i genitori, cercano gli educatori, cercano adulti che li ascoltino, li incoraggino, li sostengano con esperienze affidabili, anche i figli, anche i giovani, vanno e vanno, ma dove sono gli adulti? Spesso abitano in pensieri anacronistici, sono ripiegati sulle loro frustrazioni, sono smarriti di fronte alle domande, assorbiti nel loro affari. I giovani cercano gli adulti, ma gli adulti dove sono? Il mondo va e va, verso il futuro, insegue programmi ambiziosi e sogni di felicità, credono a promesse di prosperità e potenza, vanno e vanno, ma verso dove? Il paese felice sembra che non sia da nessuna parte e che nessuno ne conosca la via.
Ci sono le vie di fuga. Altri vanno e vanno, ma per fuggire. Fuggono da paesi tribolati, fuggono da vite sbagliate, fuggono da situazioni insostenibili. Andare via, andare via in fretta, subito. Non se ne può più. Vanno e vanno, ma dove vanno? L’andare è per tentativi, in mezzo a una confusione di entusiasmi e di paure. È come brancolare nel buio: non si vede la direzione, non si vede la strada.
Ci sono quelli che stanno fermi. Molti vanno e vanno. Molti si sono fermati. Stanno fermi: perché andare se non c’è una direzione? Perché intraprendere una strada se la meta non c’è, se la proposta non ha niente di attraente. Stanno fermi, godono o soffrono il presente: del resto dove andare? “Mi indicherai il sentiero della vita” (Sal 15). Tra quelli che cercano senza trovare e quelli che si muovono per scappare via, senza cercare niente e quelli che stanno fermi senza aver motivo per mettersi in cammino, noi celebriamo la grazia dolorosa, tragica e densa di promesse di percorrere la via di Gesù: la via della croce. Noi professiamo la nostra fede: Gesù è la via. Non andiamo verso una confusione indecifrabile, ma seguiamo un maestro affidabile. Gesù è la vita, Gesù è colui che può dare la vita: abbiamo una promessa persuasiva e affidabile, siamo autorizzati a sperare di partecipare alla vita di Dio, perché il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Gesù è il pastore: non solo indica la via, non solo promette la meta desiderabile, ma accompagna il cammino.
“Il Signore è il mio pastore … mi guida per il giusto cammino … anche se vado per una valle oscura non temo alcun male, perché tu sei con me” (Sal 22).
Non c’è altra via, solo quella della croce. La promessa rassicurante di Gesù, la fede appassionata del salmista del salmo 15, le espressioni di commozione e di gratitudine di coloro che cantano: “Il Signore è il mio pastore”, non consentono però di dimenticare che stiamo parlando della via che Gesù ha percorso.
Non c’è altra via, solo quella della croce. Se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della prova (Sir 2,1s). Non aspettarti una vita più facile: non c’è altra via per seguire Gesù, il buon pastore, se non quella di camminare come lui sperimentando lo sconcerto di fare il bene e ricevere il male, di offrire un aiuto e essere guardati con sospetto, di offrire amicizia e avere in cambio inimicizia. Non aspettarti gratificazioni immediate, anche se le meriti: continua a camminare con il Signore, non tornare indietro (cfr. Omelia Martedì Santo 2023).
Non meravigliarti di essere tribolato e perseguitato: tieni fisso lo sguardo su Gesù e trova in lui la sapienza e la forza per essere fedele al cammino intrapreso, che certo porta alla terra promessa, che è la comunione con Dio e la vita piena.
Con timore e gioia grande
Voci di angeli, voci di donne, nel vangelo che abbiamo ascoltato: E’ L’invito per noi per un nuovo inizio. La voce è: “E’ risorto”.
La veglia di Pasqua è convocazione per sostenere la fede, per dare fondamento al credere e alla speranza, perciò alla gioia di Pasqua.
La veglia convoca l’universo, interpreta il mondo come una creazione, come un desiderio di Dio di dare casa all’uomo e alla donna, suggerisce che tutto ciò che esiste possa rivelare un significato, una intenzione, una accoglienza per l’amore che unisce e dà vita. Sarà destinato a finire l’amore? sarà destinato a fallire l’intenzione di Dio? La veglia convoca la storia dei padri, interpreta la storia come il racconto di una alleanza che raduna il popolo amato da Dio, che lo chiama a libertà, che dà buone ragioni per attraversare il deserto per la promessa di una terra benedetta. Dio si impegna per una alleanza eterna. La promessa di Dio non torna a lui senza effetto, senza aver compiuto ciò per cui è stata mandata. Basterà l’infedeltà del popolo a spezzare l’alleanza voluta da Dio? La veglia fa memoria dello “spavento” che è diventato missione, che è diventato principio di convocazione: “Voi non abbiate paura …presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea”. E così comincia la Chiesa, come popolo in cammino nella storia “per suscitare la fede in tutti”. Gesù è risorto, un popolo nuovo è convocato, la missione è cominciata.
Una nuova missione.
C’è ancora una parola da dire a questa umanità stanca e rassegnata? E’ proprio necessaria questa “fretta” di cui parla il vangelo? Non è forse più pratico e più coerente distrarsi e dedicarsi a qualche cosa di più utile, di più produttivo e di meno impegnativo per gente non interessata al nostro annuncio? Non lo hanno già sentito tante e tante volte? Si celebrano i funerali, si celebrano le Messe per i defunti! Lo hanno già sentito il nostro annuncio! Se l’ultimo, ineluttabile destino è il nulla, non è più sensato dedicarsi alle cose penultime? Maria di Magdala e l’altra Maria si avvicinano alla tomba dell’amico e maestro Gesù, e rappresentano l’umanità rassegnata che ha seppellito gli affetti e la speranza nella tomba nuova. Ed ecco: un “terremoto” sconvolge la loro rassegnazione, tramortisce le guardie e l’annuncio inaudito spaventa queste pie donne. E il messaggero di Dio dichiara alle donne che sono là non per l’adempimento ultimo, non per piangere la comune e inevitabile destinazione al nulla, ma per un nuovo inizio, per una vocazione ad andare oltre e andare con fretta, per rendersi conto di essere precedute. “Ecco vi precede in Galilea”!
Tutto deve avere un nuovo inizio. La storia della nostra fede e della presenza della comunità cristiana, hanno un nuovo inizio.
La fede che ha attraversato i secoli si confronta con la “prova estrema” e si avvia con timore e gioia grande. Si avvia correndo perché i discepoli non tardino a ricevere la rivelazione sorprendente. gente che corre, gente abitata da una gioia grande, gente che ha qualche cosa da dire, e ricordare quello che è capitato, a discutere su come riconoscere e interpretare la fine tragica di una bella speranza e di una bella esperienza.
Forse si può guardare a questa scena dell’alba come a una immagine della Chiesa che dall’annuncio della risurrezione di Gesù prende nuovo inizio: si intravede il passaggio dal gruppo di coloro che seguivano Gesù, senza capirne gran che, alla comunità che corre per le vie del mondo e per i secoli della storia con timore e gioia grande perché è incaricata di un annuncio che smentisce i pensieri funebri e sveglia gli animi stanchi e rassegnati per convocarli a un incontro con Colui che ci precede. Sembra che ne venga un imperativo, una missione, come se il messaggero di Dio dicesse: Corri, santa Chiesa di Dio, devi portare ai fratelli e alle sorelle stanchi e rassegnati l’annuncio della verità essenziale. Corri, santa Chiesa di Dio, perché è troppo triste la storia, è troppo disperata la gente, è troppo insopportabile la disperazione.
Corri, santa Chiesa di Dio, con timore e gioia grande, perché l’annuncio che devi portare è troppo bello e troppo inaudito, la verità che porti è troppo sconvolgente per le inerzie del pensiero e i dogmi indiscutibili della sapienza e della scienza. Corri, santa Chiesa di Dio, con timore, perché puoi prevedere la reazione scettica, il discredito, l’indifferenza, la derisione (“sono cose per voi che andate in Chiesa, non per noi gente evoluta ed intelligente”, potranno dire), l’inadeguatezza delle tue parole e non crederanno al tuo annuncio perché non si fidano di te: eppure tu continua ad annunciare perché non venga meno una parola di speranza.
Corri, santa Chiesa di Dio, con gioia grande, perché non sei più la donna desolata che va a visitare una tomba, ma una inviata trasfigurata dall’esperienza delle risurrezione, dall’alba di Pasqua.
Corri, santa Chiesa di Dio, perché la Pasqua ti regala una nuova giovinezza, ti rende giovane per sempre. Tu, sei giovane, santa Chiesa di Dio, erede delle antiche promesse, sapiente per la sapienza dei secoli, figlia di Sion! Tu sei giovane, santa Chiesa di Dio, e cantano la tua giovinezza fratelli e sorelle che chiedono il battesimo, o che si riavvicinano alla fede per rinascere a nuova vita accogliendo lo Spirito del Risorto. Tu sei giovane, santa Chiesa di Dio! E mentre qualche scettico sembra aver decretato la tua estinzione per una irrimediabile vecchiaia, vengono da tutte le genti fratelli e sorelle per renderti bella di nuova giovinezza e renderti ardente di nuovo zelo. Tu sei giovane, santa Chiesa di Dio: perciò corri con timore e gioia grande perché l’annuncio di Pasqua proclami una nuova possibile giovinezza all’umanità.
Corri, dì quello che ha detto l’angelo ma lo puoi dire perché sei lieta, grata, unita!
Con timore e gioia grande
Voci di angeli, voci di donne, nel vangelo che abbiamo ascoltato: E’ L’invito per noi per un nuovo inizio. La voce è: “E’ risorto”.
La veglia di Pasqua è convocazione per sostenere la fede, per dare fondamento al credere e alla speranza, perciò alla gioia di Pasqua.
La veglia convoca l’universo, interpreta il mondo come una creazione, come un desiderio di Dio di dare casa all’uomo e alla donna, suggerisce che tutto ciò che esiste possa rivelare un significato, una intenzione, una accoglienza per l’amore che unisce e dà vita. Sarà destinato a finire l’amore? sarà destinato a fallire l’intenzione di Dio? La veglia convoca la storia dei padri, interpreta la storia come il racconto di una alleanza che raduna il popolo amato da Dio, che lo chiama a libertà, che dà buone ragioni per attraversare il deserto per la promessa di una terra benedetta. Dio si impegna per una alleanza eterna. La promessa di Dio non torna a lui senza effetto, senza aver compiuto ciò per cui è stata mandata. Basterà l’infedeltà del popolo a spezzare l’alleanza voluta da Dio? La veglia fa memoria dello “spavento” che è diventato missione, che è diventato principio di convocazione: “Voi non abbiate paura …presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea”. E così comincia la Chiesa, come popolo in cammino nella storia “per suscitare la fede in tutti”. Gesù è risorto, un popolo nuovo è convocato, la missione è cominciata.
Una nuova missione.
C’è ancora una parola da dire a questa umanità stanca e rassegnata? E’ proprio necessaria questa “fretta” di cui parla il vangelo? Non è forse più pratico e più coerente distrarsi e dedicarsi a qualche cosa di più utile, di più produttivo e di meno impegnativo per gente non interessata al nostro annuncio? Non lo hanno già sentito tante e tante volte? Si celebrano i funerali, si celebrano le Messe per i defunti! Lo hanno già sentito il nostro annuncio! Se l’ultimo, ineluttabile destino è il nulla, non è più sensato dedicarsi alle cose penultime? Maria di Magdala e l’altra Maria si avvicinano alla tomba dell’amico e maestro Gesù, e rappresentano l’umanità rassegnata che ha seppellito gli affetti e la speranza nella tomba nuova. Ed ecco: un “terremoto” sconvolge la loro rassegnazione, tramortisce le guardie e l’annuncio inaudito spaventa queste pie donne. E il messaggero di Dio dichiara alle donne che sono là non per l’adempimento ultimo, non per piangere la comune e inevitabile destinazione al nulla, ma per un nuovo inizio, per una vocazione ad andare oltre e andare con fretta, per rendersi conto di essere precedute. “Ecco vi precede in Galilea”!
Tutto deve avere un nuovo inizio. La storia della nostra fede e della presenza della comunità cristiana, hanno un nuovo inizio.
La fede che ha attraversato i secoli si confronta con la “prova estrema” e si avvia con timore e gioia grande. Si avvia correndo perché i discepoli non tardino a ricevere la rivelazione sorprendente. gente che corre, gente abitata da una gioia grande, gente che ha qualche cosa da dire, e ricordare quello che è capitato, a discutere su come riconoscere e interpretare la fine tragica di una bella speranza e di una bella esperienza.
Forse si può guardare a questa scena dell’alba come a una immagine della Chiesa che dall’annuncio della risurrezione di Gesù prende nuovo inizio: si intravede il passaggio dal gruppo di coloro che seguivano Gesù, senza capirne gran che, alla comunità che corre per le vie del mondo e per i secoli della storia con timore e gioia grande perché è incaricata di un annuncio che smentisce i pensieri funebri e sveglia gli animi stanchi e rassegnati per convocarli a un incontro con Colui che ci precede. Sembra che ne venga un imperativo, una missione, come se il messaggero di Dio dicesse: Corri, santa Chiesa di Dio, devi portare ai fratelli e alle sorelle stanchi e rassegnati l’annuncio della verità essenziale. Corri, santa Chiesa di Dio, perché è troppo triste la storia, è troppo disperata la gente, è troppo insopportabile la disperazione.
Corri, santa Chiesa di Dio, con timore e gioia grande, perché l’annuncio che devi portare è troppo bello e troppo inaudito, la verità che porti è troppo sconvolgente per le inerzie del pensiero e i dogmi indiscutibili della sapienza e della scienza. Corri, santa Chiesa di Dio, con timore, perché puoi prevedere la reazione scettica, il discredito, l’indifferenza, la derisione (“sono cose per voi che andate in Chiesa, non per noi gente evoluta ed intelligente”, potranno dire), l’inadeguatezza delle tue parole e non crederanno al tuo annuncio perché non si fidano di te: eppure tu continua ad annunciare perché non venga meno una parola di speranza.
Corri, santa Chiesa di Dio, con gioia grande, perché non sei più la donna desolata che va a visitare una tomba, ma una inviata trasfigurata dall’esperienza delle risurrezione, dall’alba di Pasqua.
Corri, santa Chiesa di Dio, perché la Pasqua ti regala una nuova giovinezza, ti rende giovane per sempre. Tu, sei giovane, santa Chiesa di Dio, erede delle antiche promesse, sapiente per la sapienza dei secoli, figlia di Sion! Tu sei giovane, santa Chiesa di Dio, e cantano la tua giovinezza fratelli e sorelle che chiedono il battesimo, o che si riavvicinano alla fede per rinascere a nuova vita accogliendo lo Spirito del Risorto. Tu sei giovane, santa Chiesa di Dio! E mentre qualche scettico sembra aver decretato la tua estinzione per una irrimediabile vecchiaia, vengono da tutte le genti fratelli e sorelle per renderti bella di nuova giovinezza e renderti ardente di nuovo zelo. Tu sei giovane, santa Chiesa di Dio: perciò corri con timore e gioia grande perché l’annuncio di Pasqua proclami una nuova possibile giovinezza all’umanità.
Corri, dì quello che ha detto l’angelo ma lo puoi dire perché sei lieta, grata, unita!