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CHIAMA ORA

Parrocchia San Giuseppe

Catenanuova

Il Parroco

Sac. Nicola Ilardo

 Parroco di Catenanuova dal 2015
ordinato presbitero il 25 marzo 2000 nella Cattedrale di Nicosia da S. E. M. Salvatore Pappalardo
attualmente è anche Direttore dell'Ufficio Catechistico diocesano (Nicosia)

e Assistente UNITALSI e Medici Cattolici (Nicosia)


Omelia Commemorazione Caduti in guerra e per la pace. 2023

Abitano sulla terra gli amici del bene.

Gli amici del bene sono uomini e donne che amano la vita, perché è buona: non possono immaginare di sciuparla, di vivere di banalità, di vivere di lamenti. Amano la vita, sanno che è un dono, sono contenti se possono generare bambini per la loro gioia e per il futuro del mondo; sono contenti e si impegnano in ogni modo per rendere buona e desiderabile la vita per sé e per tutti. 


Gli amici del bene amano il bene e fanno il bene che possono non perché sia doveroso, non per eseguire ordini, non per cercare l’ammirazione o l’approvazione di altri, ma proprio perché lo desiderano e vi trovano gioia: sono infatti amici del bene. 


 Gli amici del bene si appassionano a tutto il bene che possono fare. Non sono privi di difetti. Non presumono di avere sempre ragione. Commettono anche errori. Ma questo è sorprendente: sono disposti a riconoscere gli errori, a chiedere scusa, a cercare di correggersi. Amano il bene più che il proprio punto di vista.


 Gli amici del bene sono sconcertati di fronte allo spettacolo desolante di uomini e donne che si comportano con cattiveria, non riescono a capire come si possa essere crudeli, provano orrore di fronte a chi fa soffrire gli innocenti. Perciò sono disposti a lottare e a soffrire per estirpare il male, per sradicare dal cuore umano la cattiveria. Alcuni pensano che siano piuttosto ingenui. Ma non è vero: sono amici del bene e disposti a impegnarsi sempre perché il bene contrasti il male. 


Gli amici del bene sono tenaci. Sanno infatti che il bene è più forte del male e perciò hanno fiducia. Sono capaci di sorridere. Sempre. Soffrono per le sconfitte. Riconoscono i fallimenti. Ne sono umiliati, ma non sono disposti a lasciare perdere. Gli amici del bene sono persone sincere: non sopportano la doppiezza, non ammettono la menzogna, non cercano consenso a prezzo della verità. Rispondono anzitutto alla propria coscienza. L’astuzia dei malvagi può a volte trarli in inganno, perché sono spontaneamente fiduciosi. Non sono però creduloni e spesso smascherano l’inganno e affermano la verità, non senza pagare di persona. 


Gli amici del bene sono uomini e donne di fede. Credono in Dio, il fondamento di ogni bene e della loro fiducia. Il salmo ci faceva pregare infatti: “Quando dicevo: il mio piede vacilla, la tua fedeltà mi ha sostenuto” (sl 93). Credono nell’umanità: vi riconoscono l’immagine di Dio e la vocazione a partecipare alla vita di Dio. Sono uomini e donne di fede. Come ha suggerito Paolo nella lettera ai Romani (11, 1ss). Egli ha fiducia nei doni di Dio e nella conversione degli uomini a Dio. Pregano perché sono convinti che senza l’aiuto di Dio non possono fare niente e con l’aiuto di Dio anche il poco che fanno può produrre molto frutto. 



Anche noi vogliamo essere amici del bene, fra noi, nelle nostre relazioni, nella nostra città, nel progettare con fiducia il suo futuro. 

Autorizzati a pensare, autorizzati a sperare, autorizzati alla felicità

Ai carissimi ragazzi e giovani

di Catenanuova

Autorizzati a porre domande.

Se qualcuno vi dice che siete troppo giovani per pensare al futuro, per affrontare le questioni serie della vita, voi – se volete dare retta a me – non credeteci. Se qualcuno vi dice che alla vostra età è normale pensare a divertirsi, spendere soldi e tempo senza criterio, lasciarsi condurre qua e là dagli idoli del momento, senza impegnarsi in niente e con nessuno, voi – se volete ascoltarmi – non credeteci. Se qualcuno vi dice che avete diritto ad avere soldi da spendere anche senza averli mai guadagnati, che avete diritto a fare del vostro tempo quello che vi pare, soprattutto che è bello vivere di capricci e diventare consumatori di birra e di fumo, inseguire l’ultimo prodotto della tecnologia da comprare e che la bellezza della vita consiste nell’avere tutto e nel fare ciò che si vuole, voi – se volete ascoltarmi – non credeteci. Se qualcuno vi scoraggia o vi deride quando ponete le domande ultime e serie e dichiara che le uniche domande intelligenti sono quelle che chiedono: come funziona? Quanto costa? Dove si compra? voi – se volete ascoltarmi – non credeteci.


Il racconto del Vangelo è la rivelazione di una autorizzazione: sei autorizzato a domandarti che senso abbia la vita, come si possa vivere di una vita che non finisce nella morte. Sei autorizzato a porre domande e a mettere in discussione i luoghi comuni e le pigrizie del pensiero che suggeriscono la rassegnazione e la disperazione come l’interpretazione più ovvia del destino dell’uomo. Chi è autorizzato a porre domande cerca chi possa offrire le risposte, si confronta con le proposte che riceve, discute e pensa, verifica gli argomenti e si fa un’ idea dell’affidabilità di chi si offre come testimone e come maestro. Chi è autorizzato a porre le domande frequenta la storia del pensiero, dell’arte, della cultura in generale, si interessa della scienza e dei suoi risultati. Chi è autorizzato a porre le domande si interroga sul senso della vita a scuola in chiesa, con gli amici e la testimonianza degli adulti motivato dalle domande che lo inquietano e lo appassionano. Chi è autorizzato a porre domande può avere la grazia di incontrare Gesù: mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: … che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? (Mc 10,17).



Autorizzati a essere felici nella speranza.

Se qualcuno vi dice che la felicità è una fantasia adatta alle canzonette, una parola che serve per fare rima e scrivere poesie, perché la felicità non esiste e non è possibile, voi – se volete credere a me – non credeteci.

Se qualcuno vi dice che bisogna rassegnarsi, che bisogna accontentarsi di qualche momento di allegria e di divertimento, perché per il resto la vita è dura e triste, voi – se volete ascoltarmi – non credeteci.

Se qualcuno vi dice che bisogna essere realisti e che essere realisti significa non sperare niente e fare di tutto per dimenticarsi che siamo nati per niente o per morire, voi – se volete ascoltarmi – non credeteci. Nel nome del Signore in cui credo, il Dio di Gesù, vi scrivo che siete autorizzati a sperare la felicità, a credere alla promessa che c’è un modo per essere ricolmi di gioia: donarsi. Pensate questo: gli altri hanno bisogno di me, di noi; la nostra città ha bisogno di noi.


Pensare, sperare ed essere felici. In alcuni momenti tragici della storia umana si è diffusa la persuasione che se uno è veramente intelligente è obbligato a non credere a niente, ad essere scettico e disperato, obbligato a non pensare e a non farsi domande.


Pensare e sperare si cercano, non si escludono.

La vita? È vocazione.

Se qualcuno vi dice che la vita c’è per niente o per caso, se qualcuno vi dice che la vita è solo sistemazione, voi, non credeteci. La vita è vocazione! Se è vocazione, la vita diventa pellegrinaggio verso un compimento nell’amore. La cosa che conta nella vita come vocazione è fare il bene, servire, donarsi.

Non viviamo in un deserto, destinati a una solitudine; ma viviamo dentro un rapporto e siamo chiamati alla felicità. La vita intesa come vocazione ci insegna che la liberta, nostra grande risorsa, non consiste nel trovarsi in un luogo dove si incrociano mille strade, senza nessuno che insegni quale sia la via giusta. Non consiste in un libero arbitrio privo di punti di riferimento. Libertà è, invece, la disponibilità a rispondere alla vocazione della vita e mettere a frutto i talenti.

Non siamo mossi da un destino o da una carriera ma dalle condizioni che mi aiutano a dire “sì” alla vita, “sì” all’amore responsabile.

Grazie del tempo che mi avete donato leggendo questa lettera.

Vi abbraccio con affetto e stima.


22 febbraio 2023


Mercoledì delle Ceneri


p. Nicola


Lettera dal Parroco

TOCCA A NOI TUTTI INSIEME

Messaggio alla città in occasione della Solennità di S. Prospero A.D. 2022


Carissimi fratelli e sorelle, in occasione di San Prospero vi propongo una riflessione sui temi dell'incontro e della "fraternità". Temi che, mi stanno a cuore.

Non sarà una riflessione completa o esaustiva, ma vuole essere un piccolo spunto aperto a ulteriori approfondimenti, anzi, vorrei che queste proposte venissero arricchite e completate dalle vostre.


Giocarsi nell'incontro

Qualche giorno fa ho letto in un quotidiano nazionale un'intervista a uno scrittore e filosofo milanese, il quale alla domanda: "come vedono gli studenti il loro futuro?" Risponde: "Conosco diciottenni, e su di li, che parlano già del loro futuro come fossero degli anziani: seduti al bar, con una birra sul tavolino. La verità è che vogliono tirarsi fuori dalla mischia, dalla città, dalla politica, dal progettare un futuro condiviso. Bevo e sono "felice" e per loro sembra un paradiso. Ma io conosco tanti giovani, tra i nostri giovani, e non solo che, non la pensano così, che non hanno paura dell'incontro, dell'impegno e dell'imprevisto. Non bisogna temere la complessità del tempo presente, ma aprire spazi d'incontro, di dialogo. Straordinario, questo esercizio dell'incontro!

È un apprendistato da fare. Vivere la vita e gli incontri con cordialità, come capacità di vedere i volti di ognuno, in particolare, dei più fragili e deboli. I cristiani possono e devono dare un prezioso contributo perché il vangelo è incontro, è valorizzazione della persona, della sua umanità e del mistero che la abita.

Giocarsi per la città

Scriveva il filosofo Mounier: "Ogni uomo mi richiama alla responsabilità etica". Si, è vero. Oggi assistiamo ad una emergenza etica, ma ci sono segnali incoraggianti che invitano a tornare ai legami con la comunità e il suo sviluppo. L'etica è proprio questo: legame, appartenenza responsabile. Io appartengo a me e insieme alla comunità sociale. Non appartengo solo a me. Il sociale mi interessa, pena il mio impoverimento. Riaccendo il desiderio del volontariato e dall'associazionismo. Torniamo a fare "rete". Progettiamo insieme la città, la nostra città.


Quattro vie per amare la città

Come cristiano e come vostro parroco non posso tacere su un fatto: solo Gesù Cristo, che io, e con me la mia comunità cristiana, crediamo risorto e presente, ci ha dato l'esempio di cosa vuol dire amare. Vorrei invitarvi ad amare la città con la ama Gesù, come Dio ha amato Ninive, come Gesù ha amato Gerusalemme. Vi propongo quattro vie che ritengo importanti:


La prima: creare spazi di silenzio e di "deserto". Sarà un paradosso, ma per amare la città bisogna creare in essa spazi di deserto. La grande tradizione monastica della Chiesa Cattolica e Ortodossa ci ha insegnato questa via. Il rumore, il troppo vociare, non aiutano. Occorre l'interiorità, spazi per la preghiera. Di questo parere era anche il politico e sindaco Giorgio La Pira. Diceva: "L'Eucaristia salva la città". E i cristiani sanno bene cosa volesse dire La Pira.

La seconda: è quella via che aiuta a comunicare nella città. Facebook? Una piazza troppo virtuale. Mi riferisco, invece, alle vie dell'amicizia e già Aristotele considerava l'amicizia il bene più grande della città. La sola giustizia non basta, essa non può salvare, rende forse più sicura la città e però la rende più rigida, dura, inflessibile, la città ha bisogno dell'amicizia. Diceva un altro filosofo, Sartre, che "gli altri sono l'inferno". Uno arriva a questo esito, sbagliato ma possibile, se non si è esercitato nell'incontrare gli altri, nel cogliere l'alterità come benedizione e ricchezza. Non volersi incontrare, far finta di non vedersi, non salutarsi, rimanere "chiusi", non aiuta.


La terza:  "l'agorà", la piazza. Creare spazi d'incontro, di confronto, di elaborazione d'idee e di pensiero. Un dibattito, la presentazione di un libro, una tavola rotonda. Sono solo degli esempi. E' necessario incontrarsi e farsi incontro. Uscire per incontrare. Ogni incontro è fecondo.


La quarta:  case per accogliere. Case aperte. Case che, accolgono altre famiglie anche per un momento di preghiera o di riflessione. Case che, accolgono altre famiglie anche per un momento di preghiera o di riflessione. Case che, accolgono i bisognosi e le persone sole. Si parla tanto di mense "per i poveri e le persone sole", perchè non pensare ai poveri o alle persone sole nelle "nostre mense".

Tocca a noi, tutti insieme


Vi abbraccio e ci auguro la gioia e la speranza che vengono dall'incontro con il Signore e che irradiano dal volto e dall'agire dei cristiani e degli uomini di buona volontà.


Sac. Nicola Ilardo

Parroco



L'amore per la Comunità di Catenanuova.

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